La necessità di conoscere l’indefinita sospensione dei luoghi del paesaggio naturale, tramite l’esperienza lenta e ripetuta dell’esplorazione in cammino, spinge lə tre artistə ad indagare le possibilità visive che genera la sperimentazione fotografica. Le opere esposte mostrano paesaggi legati alla storia personale dellə artistə, sono luoghi che restano distanti dalla realtà quotidiana, di difficile accesso e disabitati. Nella lettura delle immagini la difficoltà consiste nel distinguere il vero dal falso, il dato reale e naturale dalla sua manipolazione: le immagini sono avvolte da un alone di mistero, di dubbio e incertezza. L’ambiente naturale viene trasceso simbolicamente creando una distanza fisica e temporale. La mostra è dunque un esercizio alla convivenza con un altrove, ma è anche una riflessione sulla natura ambigua dell’immagine e sul suo potenziale nel mostrare ipotesi future. La fotografia ha il potere di illustrare i diversi scenari di realtà possibili e si inserisce in definitiva in quello della finzione, possono dunque esistere allo stesso tempo varie verità e talvolta è necessario mentire per dire il vero. Tramite la rilettura dei luoghi grazie all’uso della luce, il paesaggio si riscopre in una dimensione spirituale, perturbante e generativa di domande. Giacomo Alberico (Pescara 1994), esplora l’entroterra abruzzese e focalizza la sua ricerca sul parco del Sirente in cui è accaduto un evento misterioso: la caduta di un meteorite genera la formazione di un cratere, oggi trasformatosi in lago che funge da abbeveratoio per i buoi. In “Senza titolo” gli interventi di luce rappresentano le tracce di questo fatto straordinario, realizzati a posteriori in studio, ricordando le suggestioni provate durante l’osservazione di questo paesaggio dominato da una natura silenziosa ed estremamente rarefatta. Dario D’Alessio (Siracusa 1998), indaga il territorio che circonda le pendici del vulcano Etna. In “Isola” la Sicilia è metafora di un luogo enigmatico, carico di senso di isolamento e solitudine. Le immagini, realizzate di notte, evocano costanti sensazioni di inquietudine e perdita. Tutto resta sospeso e incostante attesache qualcosaaccadaerompailsilenzio, come un’eruzione vulcanica che tutto tramuta. Il fuoco è simbolo di metamorfosi, la lava del vulcano rimodella eriorganizza ilterritorio circostante. Francesca Macis (Oristano 1996), ambienta la sua narrazione in luoghi isolati e di difficile accesso del paesaggio sardo. “Il giorno in cui si spense il sole” illustra un’ipotetica fine del mondo in cui il sole, dopo essere tramontato, si spegne, immergendo la terra in una notte perenne. Presente e futuro convivono in uno scenario speculativo che trasforma gli incubi dell’attualità in possibilità catastrofiche. Grazie all’uso di unaseriediaccorgimentitecnicicomelasottoesposizione,laripresaatempilunghiel’utilizzodellaluceflash,l’artistəriscriveilvisibilepercreareunarealtàparallela.